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Anton Pietro Ariani and Karl Wittmann (2005)

Crustacea Malacostraca I. Mysidacea

Unknow:1-7.

I Misidacei sono caratterizzati da aspetto caridoide, simile cioè a quello dei gamberi, dai quali si distinguono per le appendici biramose e per la presenza, nelle femmine adulte, di un marsupio ventrale in cui vengono deposte e si sviluppano le uova, e che è formato da lamine (oostegiti) embricate, di pertinenza delle zampe: di qui l’appellativo di “gamberi opossum” (“opossum shrimps”). Posseggono occhi peduncolati. Nelle otto paia di toracopodi, i rami interni sono in prevalenza a funzione ambulatoria, quelli esterni creano correnti d'acqua, per il nuoto o la respirazione. Delle sei paia di appendici addominali, le prime cinque sono spesso ridotte nella femmina, mentre quelle dell’ultimo paio (uropodi) formano con il segmento terminale del corpo (telson) il ventaglio caudale. I rappresentanti della maggiore famiglia (Mysidae) sono altresì facilmente riconoscibili per la presenza, alla base di ciascun ramo interno degli uropodi, dell’organo di senso statico, costituito da una vescicola (statocisti) al cui interno è ben visibile il corpo statico o statolite. Quest’ultimo, di tipo endogeno (a differenza che nei Decapodi) risulta raramente costituito di solo materiale organico; di regola, invece, è mineralizzato con fluorite (caso unico tra gli animali) o, più raramente, con carbonato di calcio in fase cristallina di vaterite (praticamente sconosciuta nel mondo geologico). Nella maggior parte delle specie la lunghezza, dall’apice del rostro a quello del telson, varia da 3 a 25 mm, raggiungendo diversi cm nei Lophogastridae ed Eucopiidae e nel genere di Mysidae Antarctomysis. Le specie globalmente conosciute superano di poco il migliaio. Presenti in tutti gli ambienti acquatici, ma diffusi soprattutto in quello marino, da intertidale a batiale, più frequentemente nel dominio litorale con forme bentopelagiche (bentoniche di giorno, migranti verso la superficie di notte), i Misidacei annoverano anche forme “salmastricole” (da oligo- a iperaline, queste ultime non rappresentate nella nostra fauna), poche dulciacquicole e di habitat sotterraneo. Le forme marine occupano un posto di rilievo nelle catene trofiche, fornendo nutrimento a molte specie di pesci; le minacce alla loro sopravvivenza provengono, peraltro, soprattutto da contaminazione degli ambienti ad opera dell’uomo (Wittmann, 1999). Le specie qui citate per la fauna italiana e di aree adiacenti alle nostre acque territoriali (Monaco e settore sloveno del Golfo di Trieste), nonché di Malta, ammontano a 77, tra le quali volutamente non sono stati compresi un elemento d’acqua dolce e i tre stigobionti inclusi nella precedente lista (Froglia et al., 1995). Siriella adriatica, che vi era citata, è stata assorbita da S. gracilipes (= S. jaltensis gracilipes), rappresentandone una variante da ciclomorfosi (Wittmann, 1992); analogamente non vi figura Heteromysis formosa, sinonimo (in ambito mediterraneo) di H. norvegica (Lagardère & Nouvel, 1980 b). L’incremento numerico comunque evidenziato rispetto all’edizione del ’95 (69 specie) è interamente frutto di ricerche svolte dagli attuali autori. Agli stessi si deve anche l’individuazione di tipologie di corpi statici diverse dall’unica (fluoritica) nota in precedenza, con implicazioni filogenetiche, ecologiche e biogeografiche (Ariani et al., 1993). Infatti, se gli statoliti organici sono propri di forme primitive e di profondità (Boreomysinae), quelli di vaterite riflettono una presumibile origine dei relativi taxa nella Paratetide salmastra miocenica, da cui sono noti statoliti fossili di Misidacei di composizione carbonatica. Ciò sembra indicare, per i taxa che ne sono provvisti (una specie di Paramysis, tutte le specie di Diamysis), un’origine sostanzialmente diversa da quella, atlantica, attribuibile al resto della nostra misidofauna. L’interesse biogeografico di Diamysis emerge, inoltre, dalla differenziazione del genere (Ariani & Wittmann, 2000) in rapporto ad alcuni individuati settori del Mediterraneo, tre dei quali lambiscono le nostre coste. Buoni indicatori ecologici e biogeografici per l’area mediterranea risultano essere, d’altronde, tutti i Misidacei reperibili in ambiente salmastro (Ariani & Wittmann, 2004). Per quanto concerne le forme marine, le principali novità faunistiche sono emerse da ricerche recenti effettuate, anche con metodi inusuali, nel Golfo di Napoli (Wittmann, 2000, 2001): località che risulta tuttora, con 55 specie, di gran lunga la meglio conosciuta del Mediterraneo dal punto di vista misidologico (Wittmann, 2001). Da segnalare, infine, il ruolo di Hemimysis margalefi, specie marina di grotta, quale indicatore di un aumento della temperatura delle acque superficiali nel Mediterraneo nord-occidentale, dove questo elemento termofilo sta progressivamente sostituendo la specie congenere H. speluncola (Chevaldonne & Lejeusne, 2003).